Due figli che frequentano lo stesso istituto paritario. Una scelta educativa, una fatica perchè le rette non sono da poco. Una scuola dove la maestra delle elementari accoglie i suoi alunni il primo giorno di scuola dicendo che sono pietre vive della storia, e una serie di professori capaci tanto di insegnare un metodo e di pretendere quanto di giocare e di rapportarsi con i loro alunni trasmettendo passione.
Un luogo dove, tutto sommato, anche i più scapestrati e pelandroni vanno volentieri. Questo fino a due settimane fa.
Poi un sabato il costruttore della sede decide di far valere i suoi diritti e cambia le serrature. Sfratto: tutti a casa e tutto ciò che c'è dentro (documenti, quaderni, pc per dislessici, tute e scarpe da ginnastica, materiale vario) di fatto sequestrato.
Non voglio entrare nel merito di una diatriba feroce che vede i soggetti in questione avere nello stesso tempo torto e ragione. Ciò che mi lascia perplessa è vedere come non si sia perso tempo nell'eseguire uno sfratto (il costruttore evidentemente è uno che conta) e come invece il tempo continui a passare senza che 350 ragazzini possano andare a scuola. Se, ad oggi, i miei figli sono riusciti a tornare a far lezione è grazie alla disponibilità dei parroci che hanno aperto gli oratori. Una situazione d'emergenza, che però fa pensare...
Cosa mi dà tutta questa vicenda, oltre a rabbia, amarezza, preoccupazione e un gran mal di testa? Mi porta a non dar per scontato nulla. Davanti ai miei figli privati di ciò che è fondamentale per loro mi sono chiesta cosa voglia dire far scuola.
Trasmettere cultura e passione, insegnare un metodo e un approccio alla realtà che non servano solo a imparare bene la lezione, ma ad affrontare la vita. EDUCARE, far crescere, formare degli uomini che imparino a guardare, ad amare, ad avere curiosità, voglia di creare e di dare il proprio contributo per il mondo.
Ho fatto scuola insieme ai miei figli trascorrendo una giornata con la classe di Giacomo e la loro maestra: la scuola è chiusa? Si va in sant'Ambrogio a fare i giornalisti: blocco, matite, macchina fotografica e binocolo. E il signore che si è fermato a guardare tutti quei bambini seduti in silenzio, con gli occhi attenti a osservare il pulpito e le sue raffigurazioni sarà rimasto certamente stupito. E forse di sarà chiesto "che scuola è?"
Ho fatto scuola guardando un pomeriggio i ragazzi delle medie cantare con i professori che hanno speso il tempo libero con i loro alunni, per poterli guardare in faccia.
Dal prossimo post si riprenderà a parlare di cucina, ma oggi volevo condividere i miei pensieri. Vi lascio con questo altro esempio di quello che io desidero che passi la scuola ai miei figli. Una passione e un'attenzione alla vita. Alessandro D'Avenia, un pezzo della sua lezione su Dostoevskij
Chi ha letto il suo libro, Bianca come il latte, rossa come il sangue (bellissimo e intenso!), ritroverà nel professore che il protagonista chiama "il sognatore", proprio una figura di educatore come questo ...
Buona giornata a tutti!
Grazie Lucy per le tue parole perchè, come insegnante, mi riporti alla realtà e alla bellezza del mio lavoro,
RispondiEliminaUn bacio Adri